“Tir” vince il festival del film di Roma
Il Marco Aurelio d’Oro della 8° edizione del Festival internazionale del film di Roma è stato vinto dal film-documentario “Tir”. Il regista è Alberto Fasulo e racconta la storia di Branko Završan ex insegnante croato che decide di diventare camionista in Italia per necessità economiche. Il protagonista vive una situazione di solitudine che lo vede costretto ad una esistenza deprimente nella cabina di un camion e e ad avere contatti sol0 telefonici con la famiglia. È la storia di un lavoro che Branko vive con avvilimento, che si sente obbligato a dover svolgere per consentire alla famiglia di avere una vita decente, costretto a sopportare con stremo le ore in più richieste dall’azienda di trasporti per cui è dipendenti, un lavoro al quale però egli stesso contribuirà a restituire decoro e ad elevare.
È un film che disegna la vita reale degli autotrasportatori e denuncia la attuale situazione di crisi del nostro paese in cui il camionista rumeno viene assunto dalle ditte di autotrasporto italiane perché costa 10 mila euro in meno all’anno ed è disposto a qualsiasi orario pur di non perdere l’impiego.
Nella realtà è proprio così: esistono società interinali che operano tra l’Italia e l’Est europeo e bombardano di telefonate i padroncini italiani per convincerli a chiudere l’azienda e licenziare i loro dipendenti, riaprire in Romania riassumendo gli stessi camionisti che avevano dimesso. Lo stipendio resta quello italiano ma la contribuzione viene ridisegnata secondo la legge romena. Il risultato è che quei camionisti non avranno mai la pensione.
Il camion rappresenta queste dinamiche, rappresenta la situazione dell’autotrasporto italiano e della crisi in generale ma il camion è anche una casa che, di volta in volta, si trasforma in doccia, cucina. All’interno del camion la giornata e il lavoro sono scanditi dagli orari obbligati di riposo, sotto il controllo della scatola nera che, per guadagnare di più, si cerca di aggirare in tutti i modi. E’ un mestiere duro, in cui bisogna essere abituati a stare soli e a trovare compagnia solo nelle piccole pause con i colleghi, ma si guadagna bene, almeno tre volte dello stipendio di un professore. E questo è sufficiente a motivare la decisione di una persona colta che abbandona il lavoro che ama.






